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Brexit e carbone sardo: la strana analogia

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30/10/2019

Un’equazione bizzarra che rischia di diventare un dato oggettivo e condivisibile

L’uscita dell’Isola oltre Manica dall’Unione Europea – lo dicono Barack Obama, Angela Merkel, Justin Trudeau e Narendra Modi – ridurrebbe la sua influenza e il suo potere contrattuale nella scena internazionale. E ne sono convinti in molti tra inglesi e europei: il peso decisionale diminuirà su importanti temi finanziari, su processi di regolamentazione generale e nelle decisioni politiche, ambientali, insomma dall’economia alla sicurezza tutto a Londra sembra parlare di rischio di indebolimento.

Il parlamento britannico, da tempo attraversato da dialoghi controversi e continui rinvii decisionali, si trova oggi a fare i conti con un 31 ottobre che preme e con gli accordi non ancora pronti, con slogan quali Britain stronger in Europe scritti su magliette e cartelloni di manifestanti di categorie diverse di cittadini. Tutti elementi che dichiarano una fatica e insieme una volontà, non completamente condivise, di rimanere parte dell’Europa. Al voto di maggioranza in favore della Brexit si oppone certamente il segnale della paura che le aziende inglesi possano trasferire le loro attività all’estero, in altri paesi dell’UE, con la ricaduta conseguente di meno posti di lavoro sul mercato del Regno Unito.

Ben il 61% dell’export prodotto della piccola e media impresa va all’UE e, secondo un rapporto della Camera dei Comuni, la Gran Bretagna nel 2017 ha esportato 274 miliardi di sterline di beni e servizi (circa 307 miliardi di euro) verso paesi extraeuropei. Insomma, sono in molti a credere che sia ancora importante rendere la Gran Bretagna il miglior affare d’Europa.

Intanto in Sardegna sembra andare alla deriva l’idea di rimpiazzare le centrali a carbone con il gas, dilemma che torna a far discutere la scena politica italiana, infiamma i tabloid che ancora una volta dipingono una Sardegna esclusa dai tavoli decisionali con un’ombra sulla sua naturale inclinazione al cambiamento. Protestano gli operai dell’Euralluminia perché le centrali della penisola saranno convertite a gas da subito ma per la Sardegna niente: non verrà modificato l’impianto della Grazia Deledda, così come non saranno modificate né riconvertite le centrali di Portovesme e di Fiumesanto, almeno non entro i prossimi 7 anni.

Certo per alcuni si può investire massicciamente sul solare facilitando così la transizione energetica della regione carbonifera verso le fonti rinnovabili. Ma resta in primo piano la questione della realizzazione dell’infrastruttura per la metanizzazione che rifornirebbe con un collegamento sottomarino la Sardegna dalla penisola attraverso la Sicilia. Ed ecco che alla questione politica si sovrappone quella di intenti e la comunità si domanda cosa ha senso chiedere a se stessa, quali investimenti meritano la precedenza oppure quale leva regola e classifica le priorità.

In un mondo globalizzato dove nessun paese è autosufficiente in tutti i settori della produzione, e il mercato libero non rende più ipotizzabili forme di autarchia economica, il dibattito in corso nelle due isole sembra generato dalla stessa matrice, aperto e ancora lontano da una soluzione. Tanto più alla luce delle news che in questi giorni citano perdite attribuibili alla Brexit per 16 miliardi di dollari, parla chiaro il rapporto dell’Onu e gli economisti della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) con sede a Ginevra. In caso di mancato accordo il Regno Unito perderebbe bruscamente l’accesso preferenziale a quei mercati, dovrebbe esportare con tariffe diverse.

Certo il Regno Unito è già riuscito a rinnovare alcuni di questi accordi ma molti sono ancora in corso di trattativa; l’UNCTAD afferma inoltre nel rapporto che la suddetta cifra è conservativa, le perdite maggiori interesserebbero le esportazioni di autoveicoli (5 miliardi di dollari), prodotti di abbigliamento (due miliardi di dollari) e prodotti di origine animale (due miliardi di dollari).

E così come la Gran Bretagna dipende dalle importazioni dell’UE, l’Italia rappresenta il principale partner della Sardegna: inglesi e sardi appaiono ancora una volta due popolazioni affini, entrambe intimamente contese, strattonate tra disruption e tradiction eppure talmente in grado di dimostrare la loro attitudine a diventare altro da ciò che sono o sono sempre state: pezzi di terra a galla tra risposte che ancora non conoscono e tuttavia due isole incredibili, pronte ancora una volta a rimanere laboratorio e insieme banco di prova. Così in controllo da meritare la corona.

 

Anna Maria Turra

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