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C’era una volta la Cupola…

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09/09/2021

Creata da Dante Bini negli anni ’60 per Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, fu nido d’amore e centro culturale. Dopo un grande passato, la villa di Costa Paradiso chiede ora di avere un futuro

Immaginate un architetto che ama giocare, letteralmente, con il cemento armato. E che ci gioca in un modo che solo lui conosce; come un bambino crea bolle di sapone, lui crea bolle di cemento, che gonfia e modella a suo gusto e piacere, con l’aiuto della sola pressione dell’aria. Ora smettete di immaginare e dategli un volto, perché questo architetto è Dante Bini, le cui creazioni nascono da un suo brevetto, Binishell, che ne ha reso le architetture semisferiche riconoscibili in tutto il mondo a partire dalla metà degli anni ’60. Un periodo fertile quello, per l’arte, la letteratura, la musica, l’architettura e il cinema. Due mondi, questi ultimi, che in quel decennio si incontrarono prima nelle persone di Bini e della grande Monica Vitti, poi in quelle dell’architetto e di Michelangelo Antonioni.

Il regista a quell’epoca era sentimentalmente legato all’attrice; insieme, nel 1964, avevano girato sull’isola di Budelli, nell’arcipelago della Maddalena, una scena del film “Deserto Rosso” ed entrambi erano rimasti incantati dall’aspra bellezza del paesaggio sardo. Natura selvaggia che sarebbe stata il perfetto contraltare per un’architettura futuristica come quella di Bini. Perché non far atterrare una delle “astronavi” di cemento pneumatico dell’architetto di fronte al mare di Sardegna, in mezzo al furore della macchia mediterranea e al calore del granito di un sensuale color carne? Fu così che, tra gli anni ’60 e ‘70 Dante Bini gonfiò quello che nelle intenzioni del regista avrebbe dovuto essere il nido d’amore suo e della sua musa. Ma anche un centro di incontro culturale dove Antonioni avrebbe raccolto intorno a un tavolo, nelle sere d’estate, alcuni tra i suoi amici più cari, dal poeta Tonino Guerra al collega russo Andrej Tarkovskij.

La Cupola, come è da allora conosciuta la costruzione, è sopravvissuta alla fine dell’amore tra Monica Vitti e Michelangelo Antonioni e alle ingiurie del tempo e del clima, che in quell’angolo di Sardegna sa essere dolcissimo quanto incredibilmente feroce. Infatti oggi è in stato di abbandono, preda dell’incuria e del degrado, anche se vincolata dal 2015 come bene di valenza storico-artistica dal MiBACT e celebrata da architetti del calibro di Rem Koolhas, che l’ha definita «una delle architetture migliori degli ultimi cento anni». Una condizione che ha spinto De Rebus Sardois, un collettivo di promozione culturale legato ad arte, architettura e cultura in Sardegna, a lanciare una petizione online su Change.org per salvare e recuperare la struttura. «La nostra petizione nasce dall’interesse e passione nei confronti della Cupola come opera architettonica straordinariamente moderna e visionaria, frutto di un perfetto sodalizio tra due grandi maestri: Michelangelo Antonioni e Dante Bini – dice Sara Nieddu, fondatrice e direttrice di De Rebus Sardois -. Vedere la villa dimenticata e vandalizzata ci ha spinti ad attivarci per lanciare un appello alle istituzioni, al Fai, alla Soprintendenza e non da ultimo, ai proprietari, affinché si intervenga per il suo recupero. La petizione, inoltre, punta a stimolare una riflessione sulla possibile e auspicabile destinazione futura dell’edificio: consci della natura privata, e pertanto della possibilità per i proprietari di scegliere autonomamente il destino della casa, ci domandiamo come si possa, nell’interesse di tutte le parti coinvolte, restituirle il giusto valore».

Un valore che si percepisce andando oltre ai muri scrostati e alla macchia che si impossessa di patii e scalinate, ripensando agli aneddoti che la storia della Cupola porta con sé e che ancora Sara Nieddu racconta: «Ce ne sono diversi che l’architetto Bini rivela durante le sue conferenze e interviste. Uno che ci ha colpito riguarda la filosofia del regista nell’immaginare la sua futura residenza. Antonioni, racconta l’architetto, voleva che all’interno della casa si potesse percepire il senso dello spazio e del tempo, vivere cioè un interno tridimensionale circolare che gli permettesse di vivere un’esperienza in armonia col paesaggio circostante. Per meglio comprendere quello che intendeva, Antonioni fece per l’occasione frantumare una roccia di granito per farne sentire il profumo, dicendo: “Bini, questo è l’odore del granito! Qui, si può percepire l’essenza del tempo, l’essenza dello spazio, l’essenza dell’Universo! Entrando in casa voglio sentire questi odori, mi capisce?”. Continua Bini: “Passarono diversi mesi prima che potessi intuire, assieme ai miei associati di studio, espressioni di architettura degli interni che avrebbero consentito di interpretare la raffinatissima e sofisticata visione spaziale e tridimensionale del grande regista”».

Non furono quindi solo aria compressa, cemento e design a dare forma e sostanza alla Cupola. Fu anche il genius loci, nella sua espressione più pura, sentito e interpretato dal regista con la stessa sensibilità che metteva nelle proprie pellicole. Basta dunque questo a dare all’edificio un suo valore nella storia culturale sarda? «In realtà, forse, in questo senso non ne ha nessuno – conclude Sara Nieddu -. Il valore della Cupola, a nostro parere, risiede in primo luogo nella sua unicità nel panorama architettonico isolano. Parliamo, infatti, di un capolavoro ingegneristico che ha saputo incarnare perfettamente gli ideali architettonici cari ad Antonioni: la Cupola coniuga al fascino architettonico, il dramma esistenziale, rispecchiando a pieno la poetica del regista. La villa si presenta ancora oggi con gli arredamenti originali, rimanendo dunque testimonianza della vita e attività artistica di uno dei più grandi registi della storia del cinema».

 

Davide Passoni

 

Photography courtesy of www.sardegnaabbandonata.it

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