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I quarant’anni dell’Indiano

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30/07/2021

È uno dei dischi più celebri di De André. Nell’album il cantautore mette a confronto il popolo sardo e quello dei nativi americani

Scava nella sua cultura, nella sua storia, fa emergere alcuni suoi tratti distintivi, alcuni anche arcaici. È la Sardegna la protagonista di uno degli album più celebri e profondi di Fabrizio De André. Un lavoro che ha appena compiuto quarant’anni. Pubblicato nel luglio del 1981 con il solo nome del cantautore, Fabrizio De André, il disco è stato però subito ribattezzato L’indiano, per via della rappresentazione di un nativo americano in copertina. Un album in cui il poeta genovese, che da tempo si era trasferito in Sardegna, in Gallura, nel territorio di Tempio Pausania, mette a confronto due popoli diversi ma con alcuni tratti in comune: quello sardo e quello dei pellerossa, tutti e due vittime, nel corso della storia, della colonizzazione.

Per Fabrizio De André L’indiano è stato un album particolare, forse non troppo facile da realizzare. È infatti il primo a essere pubblicato dopo il drammatico sequestro subìto dal cantautore, e dalla compagna Dori Ghezzi, nel 1979. Proprio in Sardegna, nella terra dove De André aveva deciso di abitare e verso la quale non avrebbe mai provato alcun rancore, neanche dopo quello che lui stesso aveva definito «uno dei delitti più odiosi che si possano commettere». Ne L’indiano c’è una canzone dedicata proprio al sequestro del 1979, intitolata Hotel Supramonte. Uno dei brani di punta dell’album insieme ad altri che hanno contribuito ad accrescere ulteriormente la fama del cantautore genovese e sardo d’adozione. Basti pensare a Fiume Sand Creek, Quello che non ho e Se ti tagliassero a pezzetti, insieme a Canto del servo pastore, Franziska e Verdi pascoli, più una potente rielaborazione del canto religioso popolare Ave Maria. I testi, scritti in collaborazione con Massimo Bubola, sono naturalmente pura poesia. Ma a essere di alto livello sono anche gli arrangiamenti musicali che spaziano dal blues al folk rock, a firma di Mark Harris e Oscar Prudente. Un album considerato uno dei migliori tra quelli realizzati da Fabrizio De André, arrivato dopo Rimini e prima di Crêuza de mä.

 

Dario Budroni

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