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Is Perdas Fittas, i volti nella pietra

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26/11/2020

In Sardegna il folklore e il mito si fondono all’inconfondibile odore di mirto e timo

Acque cristalline e panorami da sogno, la Sardegna è un’isola che incanta. Ma a rapire lo sguardo non sono solo le sue atmosfere paradisiache e i resort sul lungo mare: il folklore e il mito si fondono all’inconfondibile odore del mirto e del timo, e nelle pieghe della storia non si scopre solo il territorio, ma tutto il passaggio di un popolo e delle sue credenze. Percorrendo i sentieri che attraversano l’isola, non è raro infatti trovare segni dei suoi antichi abitanti, sotto forma di nuraghi, altari e circoli megalitici. E proprio durante la civiltà prenuragica vennero disseminati lungo tutto il territorio sardo una serie di menhir e betili, eretti singolarmente o disposti in allineamenti rettilinei o circolari. Oggi queste formazioni monolitiche prendono il nome di “is perdas fittas”, le pietre infisse, e costituiscono uno degli innumerevoli misteri archeologici della Sardegna. Di difficile datazione, essi sono caratterizzati da una forma allungata e ogivale, e gli studiosi ritengono che siano stati al centro di in un culto astronomico del Sole, della Dea Madre e testimonianza del sistema etico-religioso che ha caratterizzato le nuove gerarchie sociali, a sfondo ideologico patriarcale, che hanno preso il sopravvento durante l’Età del Rame. I monoliti rappresenterebbero così le divinità o gli antenati delle popolazioni prenuragiche.

Il loro enigmatico fascino sacrale è scolpito anche nei simboli che alcuni di questi blocchi di pietra celano. Molte perdas fittas – le più antiche – sono prive di incisioni, ma nella loro nuda roccia talvolta è possibile ravvisare i tratti distintivi di un volto umano: naso, occhi e sopracciglia. I monoliti più elaborati, inoltre, distinguono tra figure femminili e maschili, attraverso tratti caratteristici come seni e simboli fallici, come il pugnale. Questi menhir antropomorfi sono forse stati un primo tentativo di rappresentare la figura umana completa. E spesso, sotto questi primitivi tratteggi, si può scorgere anche un uomo raffigurato a testa in giù, simboleggiato da un tratto stilizzato, solitamente a “T”. Questo capovolto allude all’antica concezione di un regno dell’aldilà all’inverso, nel quale le anime dei defunti arrivavano mediante “un tuffo a testa in giù”. Il legame con il regno della vita e della morte è sottolineato anche dal simbolo della porta della Dea Madre – tipica sia dei menhir femminili che delle Domus de Janas – la quale custodisce le spoglie dei mortali, e a cui darà nuova vita.

Tra i siti principali delle is perdas fittas, sono degni di nota il complesso archeologico di Pranu Muttedu – che conta ben sessanta megaliti – e Laconi, in provincia di Oristano, sede dell’importante Museo della Statuaria Preistorica Sarda, situato nel Palazzo Aymerich. E più ci si addentra nelle foreste secolari o negli scuri altipiani vulcanici del Planargia e del Meilogu, più capita di imbattersi nei resti di quella che una volta era la civiltà nuragica. Così questi megaliti, insieme ai numerosi nuraghi, alle Domus de Janas e alle tombe dei giganti, costituiscono sull’isola un patrimonio millenario che può contare ben pochi rivali nel mondo. Un mosaico fermo nel tempo che aspetta solo di essere ricomposto.

 

Francesco di Nuzzo

 

Credits foto:

Crisitiano Cani – Area Archeologica di Pranu Muttedu, fonte wikipedia
DedaluNur – Menihir Laconi, fonte Wikipedia
Sardinien Goni di Pranu Muttedu 1, fonte Wikipedia
Sardinien Goni di Pranu Muttedu 2, fonte Wikipedia
Ecovip, Satue menhir, fonte Wikipedia

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