Mosaic – il viaggio al centro del Polo Nord
La missione Mosaic è partita a settembre dalla Norvegia per analizzare gli effetti climatici in atto nella regione artica.
Dai primi di settembre è partita ufficialmente la missione Mosaic, un progetto internazionale che ha come tema fondante il riscaldamento globale. A bordo della nave Polarstern, un gruppo di scienziati si è diretto verso l’Artide, a nord del pianeta Terra.
La trasferta, una delle più importanti dal punto di vista scientifico, prevede una lunga fase di ricerca che potrebbe essere adoperata in futuro per le scelte in materia di sostenibilità ambientale. Una spedizione di questo tipo era già avvenuta 126 anni prima, quando l’esploratore norvegese Fridtjof Nansen effettuò la prima traversata verso il Polo Nord. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
Ciò che differenzia Mosaic (Multidisciplinary drifting Observatory for the Study of Arctic Climate) sono i numeri. Mosaic prevedrà infatti un anno di esplorazione sul campo, in modo da analizzare l’intero sistema climatico artico che rappresenta la chiave del loro programma di ricerca. Secondo gli ultimi dati riportati dalla Nasa, gli effetti del riscaldamento globale stanno colpendo in particolar modo la zona artica, con valori che superano di due volte la media globale con picchi ancora più alti nel periodo invernale. Questo cambiamento sta avendo delle forti ripercussioni sul clima, ed è per questo che Mosaic può essere uno strumento necessario a comprendere l’evoluzione dell’ecosistema di questa regione.
Il coinvolgimento di 17 paesi del mondo certifica l’importanza di Mosaic, che ha raccolto un budget di 140 milioni di euro per questa iniziativa. Altro aspetto da non sottovalutare è il supporto fisico che accompagna la nave madre Polarstern, partita da Tromsø, Norvegia, lo scorso 20 settembre. Oltre all’equipaggiamento di elicotteri e di motoslitte, ci saranno 4 rompighiacci provenienti da Russia, Cina e Svezia forniranno carburante e personale qualificato, che per tutta la durata della spedizione arriverà a toccare le 600 unità.
Il capitale umano dunque non manca, ma ciò che rende unica questa lunga esplorazione è la sua organizzazione che ricorda molto la struttura del mosaico. Attorno alla Polarstern si è deciso di creare una fitta rete di postazioni di monitoraggio, ognuno distante al massimo 50 km dall’imbarcazione, dove gli esperti potranno recuperare i dati necessari a seconda delle diverse aree tematiche di studio: la fisica del ghiaccio marino e della copertura nevosa, i processi atmosferici, lo stato degli oceani, i cicli biogeochimici e l’ecosistema dell’Artide.
Non è stato molto semplice trovare l’appoggio per cominciare la ricerca. I problemi dovuti alle condizioni del ghiaccio hanno costretto i membri dell’equipaggio a dover selezionare la zona che potesse reggere il peso delle attrezzature e di una pista di atterraggio nel caso in cui la calotta diventi troppo spessa per le altre navi in soccorso della Polarstern. Nonostante questo piccolo contrattempo, dopo alcune valutazioni che hanno ritardato la missione di alcuni giorni l’area è stata finalmente trovata. È stata ritenuta «la migliore in questa parte dell’Artico perché offre condizioni di lavoro ottimali rispetto a quanto ci aspettassimo dopo una calda estate artica», citando le parole di Markus Rex, il responsabile del progetto Mosaic e dell’Alfred Wegener Institute, Helmholtz Centre for Polar and Marine Research (AWI). Un forte vento di 70 chilometri orari ha inoltre creato diverse crepe, portando gli scienziati a spostare gli strumenti di rilevamento e a creare dei ponti utili al passaggio.
Episodi come questi sono difficili da prevedere, ma vanno sempre messe in conto prima del viaggio. La nave Polarstern dopo questi piccoli trambusti è riuscita a fermarsi nel ghiaccio, con una velocità mantenuta a 8 km al giorno. Trovandosi nel mare Laptev (Siberia) a circa 500 km dal Polo Nord, il rompighiaccio è entrato nella notte polare, con la regione completamente al buio.
L’uso di un’illuminazione artificiale rappresenta in alcuni casi un problema per chi si occupa, ad esempio, dello studio di alcune piante capaci di sopravvivere in assenza di luce. Lo stesso vale per alcune ricerche che possono essere influenzate dalle alterazioni del Polarstern, come il suono, il calore e le turbolenze generate dal movimento. Le soluzioni, come scrive Science, ci sono, a cominciare da alcune “dark zone” dove si possono estrarre carote di ghiaccio pronte all’analisi, fino ad arrivare a delle barriere ad altezza d’uomo che possono riparare uno strumento capace di captare la densità dell’aria attraverso degli impulsi sonori. Come racconta il New York Times, in questo momento i ricercatori hanno installato un sensore chiamato C-3PO. Un chiaro omaggio al celebre personaggio di Star Wars, nonché una fonte di conoscenza utile agli esploratori, come il suo alter ego cinematografico. Lo strumento servirà a comprendere il fenomeno della formazione delle nuvole in quella determinata regione, grazie alla sua capacità di catturare particelle e acqua nell’aria.
Non sono infine mancati alcuni avvistamenti piacevoli durante questa prima parte del viaggio verso il centro del polo. Il bello di queste spedizioni è di entrare davvero in contatto con la natura e con i veri abitanti di quell’area, gli orsi polari, incuriositi, come si vede nelle foto, dalla presenza di oggetti mai visti prima d’ora lungo il loro tragitto.
Riccardo Lo Re
Credits © Esther Horvath, Stefan Hendricks, Marcel Nicolaus