Robot indossabili per facilitare i lavori pesanti
Gli esoscheletri possono ridurre fino al 40% lo sforzo sul lavoratore e prevenire il rischio di infortuni
In un futuro – forse – non troppo distante saranno le macchine a compiere i lavori più gravosi e faticosi per l’uomo. Fino ad allora, possiamo almeno sfruttare la tecnologia a nostro vantaggio e rendere i luoghi di lavoro degli ambienti più sicuri. È il caso dei supporti XoTrunk, XoShoulder e XoElbow, esoscheletri robotici sviluppati dal team di ricerca XoLab dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) in collaborazione con l’Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro).
Questi esoscheletri hanno proprio lo scopo di rendere più sicuri gli ambienti di lavoro, soprattutto quelli pesanti in ambito industriale, manifatturiero e logistico. Molto più che semplici imbragature, si tratta di veri e propri robot indossabili progettati per supportare il sistema muscolo-scheletrico e facilitare le operazioni e i movimenti dei lavoratori sottoposti a stress fisico costante su schiena (XoTrunk), spalle (XoShoulder) e gomiti (XoElbow). Indossandoli è infatti possibile ridurre fino al 40% lo sforzo subito e prevenire così gli infortuni e le malattie professionali che possono insorgere spostando carichi eccessivi. Tutti i prototipi sono stati progettati per non intralciare la mobilità dei lavoratori, ma per entrare in funzione soltanto nel momento del bisogno attraverso speciali algoritmi che ne regolano il funzionamento. Sono equipaggiati con motori elettrici e realizzati in plastica e leghe di alluminio, le stesse utilizzate in ambito aerospaziale. Ogni esoscheletro è progettato per facilitare una determinata categoria di movimenti pericolosi. Con XoTrunk, per esempio, è possibile sollevare senza sforzo fino a 20kg di peso e compiere anche complesse operazioni di traino.
Per il momento XoTrunk è ancora nella fase di testing presso aziende partner del progetto, mentre XoElbow e XoShoulder inizieranno i primi collaudi sul campo solo tra qualche anno. E chissà che questo non sia il primo passo verso un’interconnessione sempre più forte tra il mondo del lavoro e la ricerca scientifica.
Francesco di Nuzzo