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Sprechi alimentari, gli italiani ora sono più consapevoli

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27/04/2021

TheFork studia la portata del fenomeno: la strada da percorrere è ancora lunga ma allo stesso tempo aumenta la sensibilità dei consumatori

La cucina è un luogo che produce rifiuti. E questo succede sia nelle abitazioni private che all’interno dei ristoranti. Così TheFork, la piattaforma leader per la prenotazione online a livello globale, in occasione dell’Earth Day, ha deciso di intervistare i suoi utenti per comprendere quali siano le abitudini sostenibili legate al cibo – in particolare quelle sviluppate nell’ultimo anno – e per capire il punto di vista degli italiani sul fenomeno degli sprechi alimentari. I dati che TheFork ha ricavato attraverso il suo sondaggio sono piuttosto significativi: da una parte si intuisce chiaramente che la strada da percorrere è ancora molto lunga, ma dall’altra emerge anche il fatto che gli italiani abbiano comunque maturato una certa consapevolezza.

Lo spreco alimentare
Il food waste è una problematica della quale bisogna tenere conto, se si vuole davvero lavorare per un pianeta più sostenibile e attento all’ambiente. Per rendersene bastano pochi numeri. «Secondo la ricerca Metronomo condotta da Metro, con il supporto del Bocconi Green Economy Observatory, i ristoranti italiani dichiarano di buttare tra i 2 e i 5 sacchi da 220 litri di scarti alimentari – spiegano da TheFork -. Media che cresce se si fa riferimento all’intero continente: lo studio Love food, reduce waste dell’Università degli studi di Scienze Gastronomiche rivela che l’industria alimentare produce 10,5 milioni di tonnellate di spreco alimentare (pari a 21 kg a persona) ogni anno in Europa. Il cibo viene sprecato anche nelle case: secondo il Food Waste Index Report 2021 pubblicato dall’Onu e in particolare dall’Unep la quantità maggiore di spreco alimentare avviene nelle abitazioni private, nelle quali viene buttato circa l’11% di tutto il cibo acquistato. Tradotto in chilogrammi parliamo di 74 kg per abitante di scarti l’anno. Il report fornisce anche un’indicazione circa l’impatto ambientale di questo fenomeno: si stima che le emissioni associate agli sprechi alimentari rappresentino dall’8% al 10% del totale dei gas serra».

Maggiore consapevolezza
E mentre si continua a sprecare cibo, c’è da dire che a crescere, per fortuna, è anche la consapevolezza. «Per l’83,8% degli intervistati i consumi alimentari hanno un impatto ambientale elevato o molto elevato. In particolar modo carne, olio di palma, frutta e verdura di importazione, pesce non di stagione e mais Ogm sono percepiti come alimenti ad alto impatto ambientale, contro frutta e pesce di stagione, legumi, cereali e soia che sono invece considerati poco impattanti – spiegano ancora da TheFork -. Rimangono in una zona grigia la carne finta e latte e derivati, nonostante la prima sia a base di ingredienti di origine vegetale. Se parliamo invece di sprechi alimentari domestici e non, per il 54,8% dei rispondenti sono diminuiti durante i vari lockdown, così come il consumo di alimenti ad alto impatto ambientale (39,9%). Tendenza confermata da uno studio Doxa realizzato per Food, secondo il quale durante il periodo di emergenza, quasi 4 intervistati su 10 (il 38%) hanno aumentato la loro attenzione verso lo spreco di prodotti alimentari».

Le problematiche
La consapevolezza è dunque alimentata. Ma per raggiungere dei modelli di consumo realmente sostenibili non sembra essere poi così una operazione così facile. «Per il 48% degli intervistati si tratta di un problema di reperimento, cioè i prodotti a basso impatto ambientale sono difficili da trovare – concludono da TheFork -. Il 42% invece ne fa un problema economico, sostenendo che il prezzo degli alimenti sostenibili sia troppo alto. Infine per il 22% è un problema pratico perché non trovano abbastanza tempo da dedicare alla spesa, e quindi alla scelta accurata dei prodotti. Per quanto riguarda i consumi fuori casa, invece, per il 77% degli intervistati sarà abbastanza o molto importante nella scelta di un ristorante la sostenibilità alimentare e l’attenzione a particolari regimi alimentari. Il 27% inoltre sarà più propenso a chiedere una doggy bag, cioè un contenitore che permetta di portare a casa gli avanzi del pasto al ristorante, rispetto a prima del lockdown».

 

Dario Budroni

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