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Tempo artigiano di Giulio Iacchetti

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14/03/2022

Il progetto del celebre designer è sostenuto dal Museo Nivola di Orani, in collaborazione con il comune di Sarule

«La meraviglia del dirado delle persone e della natura, – dice il designer milanese Giorgio Iacchetti – è quel che arrivando da Milano della Sardegna mi ha subito catturato. Ma intendiamo partire da Sarule per un viaggio che ci permetta finalmente di uscire da quel contesto logoro di malinconia nostalgica per un artigianato in via d’estinzione.» Come se fosse davvero l’ora perfetta di sancire un tempo artigiano è con Luca Cheri, direttore del Museo Nivola, che l’industrial designer ingaggia gli addetti ai lavori e con loro decide di tagliar corto col falso mito che vorrebbe l’artigiano sardo ostaggio del suo doppio incastro, bloccato tra fama e confinamento.

Architetto, autore e curatore di mostre e libri, Giulio Iacchetti progetta per brand come Alessi, Artemide, Coop, Moleskine, Nava ed è il fondatore del marchio Internoitaliano, una realizzazione di oggetti e arredi di una rete di artigiani italiani. Con Tempo artigiano propone un percorso progettuale e interdisciplinare senza precedenti: non si tratta solo di produzioni sperimentali ma di digressioni come astrazioni finissime sulla natura strettamente artigianale dell’inventiva.

Dallo studio di architettura di Milano in viale Tibaldi, Giulio Iacchetti parla di una ricchezza sarda: la straordinariamente attiva memoria di pratiche manuali di cui l’artigianato del tappeto è solo un esempio, non di certo isolato. Fabbri, panificatori, falegnami, canestrai o cestai costituiscono un tale esercito al servizio della creazione umana che per la sua stessa frammentazione rischia di custodire profondità inosservate.

«Il progetto intende creare ulteriori e nuovi archetipi, rieleggere, inventandole da zero, nuove icone come lo sono i coltelli Pattada, – sostiene Giulio Iacchetti – i cesti di Castelsardo o il pane che è uno tra i prodotti della regione a dimensione artigianale sofisticatissima.»

Storicamente quella del tappeto è stata un’economia femminile che ha sovvertito il tessuto sociale. E ancora oggi a Sarule le tessitrici sono giovani determinate a spendere, in un’attività appresa dal passato, le loro personalissime istanze. «Vogliamo dimostrare proprio a Sarule la perfezione che sta nel tempo dell’artigiano, – sostiene Giulio Iacchetti – rendere ovvia la volontà di superare il semplice manufatto. Credo che abbia senso considerare l’artigianato per tutti quegli aspetti innovativi che non sempre vengono visti dal di fuori.» L’artigianato del tappeto qui è riconoscibile dalle grafiche e dal colore giallo tratto da un’erba, unica nella regione, raccolta in massa da maestranze per lo più femminili, che conferisce la singolare colorazione del filato.

A Sarule si mostra una soluzione creativa per segnare il tempo necessario alla realizzazione del tappeto scandendolo come i cerchi nel tronco dell’albero; così i nuovi manufatti riportano un pixel di colore diverso che spicca tra il giallo tipico; così si conta il tempo che occorre non solo per concludere il manufatto, e si parla di giorni, ma anche per armare quotidianamente il telaio, e si parla di non meno di cinque ore.

Con mostre ospitate dalla Triennale di Milano e la sua Casa nostra, residenza a cui affida la comunicazione di immagine a Fertilia, Giulio Iacchetti con all’attivo diversi riconoscimenti come il Compasso d’Oro, si misura sul tema del souvenir come sintesi mirabile dei luoghi.
«Tempo artigiano scommette su una competenza arcaica che è pronta a correre qualche rischio, a sporcarsi le mani legandosi a una semplicità di artigianato che possa sia esprimere che accelerare in sperimentazioni.» Così, immettendo in circolo tradizione e straordinarietà della scoperta, lo scarto diventa il ritorno a una manualità più spinta abbandonando preconcetti sull’oggetto per decretare l’anno zero.

«La nostra tradizione è frutto di invenzione di altri, inventiamo anche per quelli che verranno dopo di noi. Sarule non ha alcuna tradizione nel ferro battuto, ma si può provare a ricordare o ad attingere da altre scuole; – suggerisce il designer – io credo che non siamo tenuti solo a celebrare riti e miti ma a crearne di nuovi. Spesso si è tentati di inquadrare in maniera quasi buffa i temi dell’artigianato ma se pensiamo alla tradizione e al punto da cui è partita perché mai non dovrebbe essere adesso il momento esatto in cui inventare oggetti nuovi, rari e destinati al futuro?»

E sull’isola troviamo diversi esempi, narrazione fantastiche ed ininterrotte come i ramai di Isili, la cui vocazione, ancora viva nell’Ogliastra, procede affiancando la vendita all’arte del rame. Oppure l’ancor più antica tradizione della cestineria messa in secondo piano proprio quando gli Isilesi, grazie alla vicina miniera di Funtana Raminosa, per primi in Sardegna cominciarono a forgiare il rame dando vita così a una nuova classe sociale. O ancora gli orafi tra Fonni e Dorgali o quelli sullo sfondo di Alghero.

«Proprio come è avvenuto per le pipe a Varese, dove non si coltiva affatto l’erica, l’artigiano ha semplicemente trasmigrato dall’Italia alla Francia importando una competenza accanto ad una tecnica. – dettaglia Iacchetti – Eppure l’assenza del legno di radica, particolarmente adatto a questa produzione, non è certo stato un limite per la creazione dal niente del distretto della pipa di cui Brebbia e Savinelli sono fulgide esemplificazioni.»

Così come la localizzazione delle numerose scuole artigiane sulla penisola dimostra quanto la creazione umana sia legata a intuizione, genio e all’esatta percezione di una cronologia, insomma a una razionalizzazione che mette a fuoco e aggira anche gli aspetti mancanti.

E’ un tempo un po’ sospeso quello dell’artigiano, ma anche definito da rigore e confine. Un tempo che scandisce se stesso di riti e rintocchi, ricorrendo a strategie o spazi anche diametralmente diversi.

«Le numerosissime scuole di ceramica in Italia, con le differenti peculiarità, ad esempio la prevalenza di blu e turchese in quella di Albissola, scrollano un tempo artigiano che investe la storia del nostro paese. – spiega l’architetto Giulio Iacchetti – In Ciociaria non esistono picchi artigiani, ma quei pochi sono riusciti ad impartire la tradizione calzaturiera agli antichi romani. La ciocia, cioè la suola in cuoio con i lacci, è stata adottata tra i costumi del Sacro Romano Impero proprio passando da questa terra colonizzata. Insieme alla ciocia di recente abbiamo provato a riprogettare la conca che in Ciociaria è l’elemento in rame per raccogliere l’acqua. Ne abbiamo riletto nella contemporaneità i valori estetici ragionando intorno al concetto di funzione e quello di evocazione. Perché il giro può essere anche inverso: sia partendo dalla tradizione che inventando una tradizione.»

Sotto il faro della contemporaneità le suggestioni si fanno potenti per uno studio che non intende esaurirsi nell’arco di una mostra, ma estendersi alle fasi della distribuzione e commercializzazione degli oggetti realizzati. In un giro dell’orologio al contrario quello della manualità è un tempo lento che diventa veloce se confrontato a quello necessario all’industria per trasformare un progetto in prodotto seriale.

Anna Maria Turra

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